La passione e le passioni

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Il brano dell’entrata di Gesù a Gerusalemme ci introduce al senso della sua imminente passione. L’evangelista ci presenta un Gesù che è consapevole di quello che sta per accadere, perché lo ha scelto. Entra in città su un puledro in segno pace, non a cavallo come i soldati, anche se lui si accinge a compiere la battaglia decisiva, quella contro la morte. Il racconto della passione è un testo che spaventa perché sembra essere tutto fuorché una buona notizia.

Come mai? Cosa c’è di bello in questa morte tanto da farne il cuore del vangelo?

In essa si vede letteralmente parlando la passione di Gesù. Passione è un termine ambiguo perché significa sia patire, subire, soffrire, come anche essere afferrati da qualcosa. Avere un passione è spesso associato ad elementi positivi; ad esempio solo chi fa il proprio lavoro con passione lo svolge realmente bene, così come solo un amante appassionato è un vero amante.

Ora nel racconto del vangelo di questa domenica, possiamo vedere entrambi questi aspetti. C’è tutto ciò che Gesù subisce fino al punto da renderlo triste e angosciato, c’è il suo letterale patire, inteso come sofferenza dell’anima e del corpo, il male che si scatena su di lui, ma c’è anche tutta la sua passione di innamorato che, per rimanere fedele alla sua sposa infedele, Israele, la comunità, i discepoli, noi… è disposto a sopportare qualsiasi sacrificio.

Perché allora ci spaventa tanto questo racconto? Un motivo può essere il senso di competizione. Quasi involontariamente siamo tentati di applicare a noi quello che Gesù ha fatto, nel senso che ci immedesimiamo in lui e pensiamo a quanto molto prima di lui noi ci saremmo fermati… e questo ci fa star male. In prima battuta, noi non siamo i suoi imitatori, quello che lui ha fatto è unico. Noi siamo coloro per i quali lo ha fatto, siamo, come dice il Vangelo di Luca, quelli che hanno assistito allo spettacolo della crocifissione (Lc 23,48). Cosa c’è da vedere? C’è da vedere come lui ha reciso tutti i fili con cui la paura della morte ci tiene prigionieri impedendoci di fare quello che desideriamo nel nostro profondo: amare senza riserve. Lui ha chiamato amico Giuda, vincendo la delusione del tradimento, ha accolto Pietro nel suo rinnegamento, ha ascoltato il sommo sacerdote come l’ultima delle guardie romane, ha pregato per coloro che lo crocifiggevano e per coloro che morivano al suo fianco come i due malfattori.