“Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”(Mt 4,23). Così termina il vangelo di questa domenica. Due anni fa, a scuola deve insegno filosofia, con la quinta che veleggiava verso l’esame di maturità, parlando delle scuole filosofiche post hegeliane, ho voluto citare un certo Strauss che nella Germania dei primi dell’Ottocento scrisse un libro su Gesù che destò molto scalpore perché sosteneva che nei vangeli c’erano molti miti. Subito i più svegli, o meglio quelli che non erano affaccendati in altre faccende (“dopo abbiamo la verifica di inglese, per domani dobbiamo consegnare la relazione” ecc.) hanno colto il problema e mi hanno sparato una raffica di domande: “ma allora Gesù i miracoli li ha fatti sì o no? Ha moltiplicato i pani? Ha guarito i malati? É risorto? O sono tutti miti?”.
Il primo punto che ha destato in loro scalpore è scoprire che i vangeli non sono la storia di Gesù così come la intendiamo oggi, tant’è che i vangeli non sono stati chiamati “La vera storia di Gesù” o “ Il racconto della vita e degli atti di Gesù da parte di chi lo ha conosciuto“ o simili. I vangeli sono loro stessi un genere letterario, il”vangelo” la buona notizia, e, al loro interno, hanno diversi generi letterari tra cui anche il “racconto di miracolo” o come nel vangelo di oggi il “racconto di vocazione”. Questo non per dire che allora “è tutto finto” o , più finemente “è tutto simbolico”, ma semplicemente per ricordare che i vangeli come tutta la scrittura è semplice ma non banale, va letta e capita nella “lettera” di ciò che dice e soprattutto “nello spirito” di ciò che mi vuol comunicare. E allora senza escludere la possibilità che Gesù abbia fatto dei miracoli così come comunemente lo intendiamo, i prodigi di cui ci parla il vangelo possono essere meno appariscenti di come ce li immaginiamo ma molto più concreti e vicini a noi.
Non è forse ‘miracoloso’ che Gesù, presentato nei vangeli come il Figlio di Dio fatto uomo, cerchi dei collaboratori, prendendoli tra la gente comune, i lavoratori di ieri come di oggi, con i loro pregi e i loro difetti? O è più miracoloso far apparire magicamente del pane per tutti o insegnare che con la condivisione del poco che si ha compare il miracolo dell’abbondanza, perché la vera malattia da vincere è la paura che non ce ne sia abbastanza? E, nella stessa linea, è più miracoloso guarire una malattia incurabile come la lebbra o avere il coraggio di ‘toccare’ il lebbroso, per fargli sentire la propria vicinanza, il proprio calore e vincere così il demone della solitudine e dell’isolamento che imprigiona ogni ammalato di ieri come di oggi?
Gesù guarisce tutte le malattie, non perché ha la bevanda polisucco di Harry Potter, ma perché guarisce la malattia che è alla radice di ogni male: la rassegnazione, il pensare che non ci sia alternativa, che il male in tutte le sue forme abbia sempre l’ultima parola. La sua risurrezione è la sconfitta di tutto questo, e la prova della sua efficacia è proprio nel modo in cui è morto, spendendosi per gli altri, come ha cominciato a fare di suoi primi passi in Galilea.
Non so se li ho ‘convinti’, ma questa credo sia la buona notizia che possiamo sperimentare con i nostri occhi, adesso.