Il pastore e il mercenario

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Nel vangelo della quarta domenica di pasqua Gesù parla di sé come del buon pastore che conosce le sue pecore ad una ad una. Subito dopo sviluppa un paragone tra il mercenario e il pastore per spiegare che tipo di relazione vuole instaurare con noi.

L’esempio non è scelto a caso perché molte volte si confondono i due. Spesso infatti si considera Dio una sorta di mercenario spirituale, che elargisce i suoi favori in cambio di prestazioni: preghiere sacrifici, opere di bene. La prova di quanto sia radicata in noi questa immagine è la nostra reazione di fronte a qualche episodio spiacevole: subito siamo tentati di pensare: “ma cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?”. Sensazione che si acuisce se osserviamo la vita dei ‘peccatori’ che conosciamo ai quali sembra sempre andare tutto bene.

Ma Dio non è così, non ragiona secondo la logica del do ut des, nemmeno per i beni spirituali e per un fine buono.

Gesù il “pastore bello”, il volto del Padre conosce ciascuna delle sue pecore: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14). Conoscere per le scritture significa “fare esperienza”, non è un apprendimento intellettuale, ma un incontro vivo. Questo è paradossale: Gesù sta dicendo che conosce personalmente ciascuna delle sue pecore anche quelle che non sono ancora del suo ovile: “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 14,17). Tra queste ci siamo anche noi.

“Ascolteranno la mia voce” dice il vangelo, ma lui ascolterà la nostra?

Ci sono infatti alcuni dubbi e false immagini della nostra relazione con Gesù che, alle volte, ci fanno ritenere che lui non ascolti. La prima obiezione è che lui abbia delle cose più importanti da fare che non occuparsi della nostra vita. Quante situazioni più gravi della nostra? E poi chi siamo perché si occupi di noi?

Un’altra obiezione viene dal tipo di richieste che ci stanno a cuore, che noi stessi giudichiamo inadatte o inopportune per Gesù: possibile che si occupi dei miei interessi reali?

La terza è ritenere che Gesù o Dio si interessino solo delle questioni ‘spirituali’ mentre a me attirano sopratutto quelle concrete.

L’ultima di queste, la più ‘teologica’, è che se Gesù è Dio, come Dio, sa già tutto quindi tanto vale non dirgli nulla perché se vuole farà quello che deve fare.

Gesù invece con l’immagine del buon pastore ci propone una relazione reale, che implica il nostro coinvolgimento. Per questo non ci dà ciò che non vogliamo veramente. Per questo è fondamentale chiederglielo.

Si occupa di tutti gli aspetti della nostra vita, perché la nostra vita è una, in tutti i sensi. La prova inconfutabile della sua disponibilità è che, contro ogni aspettativa, è disposto a lasciare il gregge dei giusti, le novantanove pecore, per andare a cercare la pecora smarrita, per cercare noi.